antivivisezionismo etico-politico

VERSO UN ANTIVIVISEZIONISMO ETICO-POLITICO

Dall’antivivisezionismo etico-scientifico ad una critica alla scienza e
alla società più in sintonia con le motivazioni etiche dell’antispecismo

La
Coalizione contro la vivisezione nelle università interviene sul
dibattito accennato di recente all’interno del movimento antispecista,
che ha posto a confronto le tesi dell’antiviviseziosmo scientifico con
l’impostazione tipica dell’antivivisezinismo etico e propone un metodo
di intervento innovativo alla luce di una serie di considerazioni di
tipo politico. L’intenzione non è quella di risolvere le diatribe
fornendo la risposta alla presunta incompatibilità tra i due approcci,
bensì prendere atto del fatto che essi presuppongono due modi di
procedere differenti, convinti che il movimeto antivivisezionista debba
tenerne conto nel perseguire i suoi progetti. Fino ad oggi, infatti, la
lotta alla vivisezione a livello nazionale ed internazionale si è
snodata in percorsi ben diversi senza che i più ne abbiano rilevato le
contraddizioni insìte, preoccupati più che altro a richiamare una
generica unione di intenti. La premessa secondo la quale
tutti
uniti si vince ha creato, invece, dissidi interni e non ha incentivato
quell’approfondimento della tematica trattata, necessaria a stilare
programmi adeguati e a permettere agli attivisti di diversa provenienza
(associazioni protezionistiche, campagne di pressione radicali) di
comprendere le posizioni altrui, con il risultato di non cogliere gli
imput provenienti dal di fuori del gruppo di appartenenza e avversi
alla propria formazione, a discapito della consapevolezza, della
comprensione e della libera scelta.

Un’opposizione sociale
alla vivisezione è uscita dalla dimensione personalistica quando
migliaia di individui, riuniti sotto il nome delle associazioni
impegnate nella tutela dei diritti animali, hanno ritenuto utile
fornire adeguato appoggio a quei medici che avevano prodotto testi di
critica radicale al metodo che la comunità scientifica ufficiale
adottava includendo nei test da laboratorio gli animali. Uno sgomento
provato a livello emozionale di fronte ai filmati che ritraevano
animali agonizzare sui tavoli dei vivisettori trovava una sponda
sociale proprio all’interno di quella categoria scientifica sotto
accusa perchè violava i corpi di esseri senza alcun dubbio senzienti
che entravano in immediata relazione empatica con loro, in qualità di
umani compassionevoli. Si sprigionò un’energia ottimistica che registrò
il picco di partecipazione e visibilità durante la propaganda
elettorale tenutasi in Svizzera quando lo Stato elvetico presentò ai
cittadini sotto froma di referendum un testo di abolizione nazionale
della sperimentazione animale. Guidati da Hans Ruesh migliaia di
animalisti sceserò in piazza, divulgarono il verbo antivivisezionista
attraverso i suoi libri guida, periodici animalisti e gadgets che
inneggiavano al diritto degli animali di non essere carne viva da
esperimento. L’esito della consultazione popolare fu negativo, ma con
l’aiuto di altri tecnici antivivisezionisti la galassia animalista di
recente formazione valutò la partita non ancora conclusa e proseguì nel
cammino intrapreso, incasellando anche importanti risultati parziali
che ogni volta avevano la parvenza di annunciare l’avvicinarsi della
fatidica resa finale.
In Italia, l’obiezione di coscienza per
studenti, docenti e addetti di laboratorio e una modifica legislativa
che sanciva la vivisezione essere un male a volte non necessario, ma
non totalmente evitabile per la scienza, consentirono di ottenere un
non trascurabile miglioramento per la causa e il conseguente risparmio
di numerose vite o di parte di sofferenza per gli animali
stabularizzati. Quindi possiamo dire che la forte e univoca
manifestazione di fiducia e appoggio da parte degli animalisti nei
confronti dei medici antivivisezionsiti ha prodotto significativi
vantaggi dal punto di vista dell’aggregazione nel movimento, ha
sostituito promuovendo metodi alternativi validi alla vivisezione
alcuni atroci e inutili esperimenti, ma ha ancorato l’antagonismo
neonato alla pratica su di un piano di esclusiva competenza tecnica che
ancora nel mondo non ha ottenuto se non una molto marginale
considerazione. Da parte nostra ci auguriamo che la rete di
ricercatori antivivisezionsiti creatasi consegua una piena
legittimazione e continui a fornire al movimento occasioni proficue di
critiche all’industria della vivisezione.

L’insoddisfazione
allora crebbe e il tentativo di persuadere la casta scientifica per
sovvertire le convinzioni dei suoi vertici sconfinò in un’opposizione
determinata da parte delle cellule clandestine dell’Animal Liberation
Front, che dall’Inghilterra si espansero rapidamente ovunque. Non erano
più solo difficili infiltrazioni a fornire immagini di terribili test,
sostituendo quelle a disposizione ormai datate, ma continue incursioni
che oltre a ulteriori e scottanti prove di sadismo, legale e non,
consegnavano alla libertà e ai sogni di rivalsa degli animalisti
direttamente le cavie animali, sottraendole al peggiore dei destini.
Una nuova spinta di entusiasmo riempì i cuori e contribuì a generare
maggiore convinzione tra un numero inaspettato di simpatizzanti:
l’immagine del liberatore in passamontagna con l’aria tenera e
premurosa fece il giro del mondo e divenne il simbolo del coraggio
magnanime, dell’impavido giustiziere degli aguzzini.
L’iconografia
dell’alf che si generò purtroppo antepose sè stessa al vero messaggio
dei salvatori degli animali, che tendeva alla responsabilizzazione
personale e ad incutere insieme alla sensazionalità spettacolaristica
un’autentica chiamata all’azione. Con il tempo la sfida fu colta da
molti gruppi e attualmente le liberazioni e i sabotaggi si susseguono a
scadenza giornaliera nel mondo, con elogiabile testardaggine e buona
continuità. Nei paesi europei e negli Usa, addirittura, le azioni degli
animalisti cosiddetti radicali sono arrivate a costituire un pericolo
nazionale, al punto che sono comparsi provvedimenti legislativi
specifici contro i membri dell’Alf, che, sfruttando la valenza
attribuita loro dalle autorità di terrorismo interno, riforniscono le
patrie galere e portano la lotta fin dentro i tribunali.
Il
passaggio della tattica dell’azione in una dimensione segreta alla
presenza pubblica avvenne con le campagne di pressione indirizzate
contro obiettivi specifici (centri di sperimentazione pubblici e
privati e allevamenti) che proseguirono nell’opera di opposizione su di
un piano prettamente economico e di danno d’immagine. Tale attivismo
diretto puntò fin dal suo inizio sulla possibilità di far compiere alle
persone quel salto utile a trasformarle da biechi consumatori, complici
di sfruttamento animale, a scaltri e fieri sostenitori dell’illegalità
in ostacolo a ciò che aveva visto loro stessi implicati; un passo molto
grande, forse eccessivamente ambizioso per poter essere conseguito su
larga scala, che non ha comunque mancato di allargare la schiera dei
contrari alla vivisezione più sensibili al tasto della reattività, ha
raggiunto l’interesse degli ambienti politici rivoluzionari e ha dato
una visibilità mai raggiunta prima alla sofferenza
delle cavie.
Finalmente un lieto fine si intravedeva per i fautori
dell’antiviviseziosmo e il movimento ebbe l’iniezione di fiducia
necessaria a poter contare su un’arma di riserva, ‘la forza della
ragione’.
Il picco più alto della lotta di liberazione diretta
risolutiva è stato il caso di Berry Horne, attivista inglese che, di
fronte a una condanna di 18 anni per incendi e liberazioni, perì in
seguito ad estenuanti scioperi della fame intrapresi per smascherare
Blair con l’opinione pubblica britannica da lui ingannata in campagna
elettorale con false promesse di abolizione della vivisezione.

Riassumendo:
dalla convinzione che la vivisezione è una falsa scienza e la
conseguente operazione di essere promotori di buona scienza, priva di
sacrifici animali, dallo scontro dialettico ancora in corso tra
indottrinati, impreparati, sadici ricercatori e moderni, retti e
compassionevoli ricercatori, una parte del movimento non indifferente è
passata a caricare la figura del vivisettore dell’aggravante di essere
un vile affarista, in combutta con lobbies e corporations
dell’industria chimico-farmaceutica. Affievolita la speranza di un
riconoscimento si è inserita la convinzione che in un mondo votato al
profitto economico fosse necessario battersi sul piano dello sporco
‘soldo’ per dare il colpo decisivo a realizzare il cambiamento: dalla
buona scienza si è passati a sperare nella buona economia, se non in
senso assoluto almeno affinchè fosse possibile dotarla con la lotta di
una posizione etica vantaggiosa per gli animali (da lì gli appelli
profusi agli stessi destinatari di focose proteste di compiere una
scelta etica, di mercato). Tale contraddizione interna ai singoli
gruppi si evidenziò solo nella sua accezzione più evidente, cioè
partorendo una forte acredine tra i due schieramenti
antivivisezionsiti, poichè chi lavorava per persuadere e accattivare le
Istituzioni non vedeva di buon occhio gli attacchi fisici che si
facevano sempre più forti di un ancor più gravoso giudizio di loro
colpevolezza.
L’apice di una vera e propria guerra intestina, in
Italia fu raggiunto dall’Enpa quando offrì mille euro a chiunque avesse
fornito informazioni utili a catturare gli autori della più eclatante
liberazione di cani beagle, sottratti con l’astuzia dall’allevamento
Morini, per la quale le prime pagine dei quotidiani rispolverarono la
favola della carica dei 101 walt disneiana.
L’approdo in Italia
della campagna decennale Shac, ancora attiva, per chiudere il più
grande laboratorio europeo Huntingdon Life Science possiamo
considerarlo la svolta che, dando il seguito al Coordinamento Chiudere
Morini, ha sancito la differenza di metodo e la rottura tra grandi
associazioni welfariste impegnate a diffondere una cultura pacifista di
diffusione dei diritti animali e organizzazioni informali tese a
ottenere la liberazione animale, apponendo una croce dopo l’altra sulla
mappa dei lager di animali, affondando il colpo nello scontro tra i
liberazionisti e gli oppressori di turno. Tale apparente e concreta
dissimilitudine però sembra non aver ancora individuato le radici della
discordia e, paradossalmente, pone ancora le basi del proprio agire
sulle medesime sostanziali convinzioni: la vivisezione è un’inutile
tortura e i due aspetti della critica si rafforzano l’un l’altro. Mai
fino ai giorni nostri si è assistito alla pubblicazione
di scritti
di movimento che si ponevano il problema di capire se l’assunto
fondante fosse completamente attendibile. Possiamo dire, semplificando
per agevolare il fluire del ragionamento, che da una parte la società
subisce l’influenza dei baroni della scienza, coloro che con devozione
occupano il ruolo dei "benefattori dell’umanità", i guaritori di vecchi
e bambini; dall’altra parte anche gli animalisti subiscono il fascino
della missione dell’antivivisezionismo scientifico una volta che sono
stati intimamente colpiti dalla spietatezza dei dottori squartatori
vestiti di candido camicie bianco. Un agognato conforto è
comprensibilmente accettato, oltretutto se offerto da chi pone le
nostre emozioni nel giusto razionale e nel contempo ci lascia al riparo
dal dover mettere in discussione l’impianto sociale tutto che ha
originato le malefatte e le difende strenuamente.
Assistiamo
durante gli eventi e nelle frequentazioni del movimento all’esibizione
di convinzioni di persone evidentemente non preparate, le quali cercano
di mascherare il gap di competenza che li affligge dal punto di vista
scientifico, sciolinando citazioni letterali prese dai testi ‘sacri’
dei medici antivivisezionisti, mentre proclamano dichiarazioni di
innocenza per gli amici animali. Un esempio lampante di approssimazione
emotiva è lo spacciare una verità assodata, quale l’assurdità di
trasferire così come sono, sull’uomo, i dati ottenuti dalla
sperimetazione su altre specie, nella prova assoluta che gli animali
non possono costituire in nessun caso un modello sperimentale di
carattere indicativo valido per i loro aguzzini.
A conferma di
questa condivisione di idee tra riformisti e radicali, se non a livello
personale al livello che più conta, quello politico-progettuale,  sta
il fatto che le loro strategie poggiano sulla possibilità che il
Sistema abolisca la vivisezione prima, o senza, che qualcuno abolisca
prima il Sistema stesso. Se la sua scienza è perfezionabile e se la sua
bioetica-economica è perfezionabile, basteranno medici
antivivisezionsiti pertinenti o/e attivisti abbastanza arrabbiati da
rendere la vivisezione agli occhi dei suoi promulgatori, regolatori e
istigatori un tragico e scomodo errore!

Come Coalizione
contro la vivisezione nelle università non siamo certo in grado di
risolvere una diatriba scientifica vecchia centinaia di anni e
soprattutto non vogliamo proiettare le nostre speranze e sensazioni
correndo il rischio di generare direzioni inappropriate. Molto
semplicemente desideriamo mettere in luce che mentre la domanda
"vivisezione utile o inutile?" non ha avuto risposta definitiva, o per
lo meno promettente, è fondamentale non muoversi come se nulla sia
scontato in merito. Noi ci poniamo e vi poniamo un’altra domanda, per
quanto dolorosa: se la vivisezione fosse utile al progresso
dell’umanità? Se stessimo mettendo preziose energie nei canali
sbagliati?
Da individui non dotati di nessuna fede, nè nella scienza
di nessun parere, nè nel pur lodevole sforzo di attivisti (non eroi) da
supportare e non idolatrare, decidiamo di scendere sul piano sociale e
coniamo il termine antivivisezionismo politico, nei quali intenti tutti
i militanti si possano riconoscere essendo questo il campo che tutti
gli individui comprende, al di là di fronti e categorie di fatua
appartenenza.
Aprendo la porta a una lotta alla vivisezione
concepita come ‘tematica di sistema’, cioè una sua colonna portante,
prima di tutto dobbiamo affrontarla mettendo ben in evidenza le sue
implicazioni sociali, appunto, stabilendo i collegamenti che
intercorrono tra uso di animali e concetto di cavia, di tortura , di
reclusione, di mercificazione, di reificazione, di inferiore, di
diverso, di straniero, di schiavo, di povero, di precario, di donna, di
non eterosessuale, di immeritevole secondo un principio di utilità e
meritocrazia in quanto essenza deprorevole della società di stampo
capitalistico. Fintantochè il concetto di autoritarsimo non sarà
intaccato, sarà sempre l’autorità che opprime gli animali, umani e non,
a stabilire il principio di merito a cui attenersi in una condizione di
competitività e concorrenza sociale e non si compierà pienamente il
significato reale del nostro impegno; il cambiamento non comporterà che
una molto parziale
ripulita di un aspetto con un semplice
spostamento dello sfruttamento altrove, a discapito dell’equità; come
già accaduto – del resto – più volte nella storia, con l’eliminazioni
di varie categorie (i carcerati, gli orfani, i disabili, ecc.) dal
novero delle possibile cavie sulla scorta di avanzamenti se non altro
formali nell’egualitarismo antropocentrico. Altrimenti i corpi saranno
perennemente violati e le menti informate a deformare idee, metodi e
rapporti intraumani e intraspecifici; si modificheranno più che i
destini ultimi, i modi in cui perire di coloro che giaceranno all’ombra
della logica dell’interesse.

Dobbiamo confidare nella
potenzialità dei nostri argomenti, per far aprire gli occhi piuttosto a
coloro che sono ancora troppo intrappolati nelle dinamiche del Sistema,
che si alimenta della nostra ignoranza e arrendevolezza, della nostra,
per lui strutturale, subalternità. Divengono così nostri primi
referenti quei movimenti dissidenti e quegli individui critici che
accettano di osservare e rigettare gli effetti dello specismo,
agevolati in partenza da un’insofferenza già avvertita nei confronti di
altre forme della prassi e dell’ideologia del dominio.
Non sarà
sufficiente puntare a convincere uno ad uno i membri della società,
piuttosto sarà necessario sviluppare una capacità di permeazione dei
contenuti di tipo politico, che emerga e acquisti identità e
riconoscibilità fra la gente, per permettere anche alle persone che non
riusciamo ad avvicinare di sapare che possono avvicinarsi a noi,
all’idea antispecista che propagandiamo. L’antispecismo svolgerà la
funzione chiarificatrice di illuminare un’idea e i suoi risvolti
pratici: il faro di un movimento nuovo.
Vogliamo stanare i
torturatori dagli scantinati in cui si rifugiano alle prese coi loro
gretti laboratori, costringendoli con la pressione a rendere di
pubblica conoscenza i protocolli degli esperimenti, cosa che la Legge
con una mano promette di consegnare e con l’altra ritrae all’interno
dell’enorme bunker del segreto di Stato.
Passo successivo sarà
consentire ai soggetti che si rileveranno affini di far valere la loro
contrarietà e per iniziare a dare peso al tessuto sociale avverso alla
vivisezione, già al 66% secondo recenti sondaggi della Comunità
Europea, possiamo cercare di aumentare collettivamento di peso
politico, volgendo a nostro vantaggio le enormi contraddizioni delle
amministrazioni sedicenti democratiche, almeno finchè non godremo del
bagaglio più spiccatamente antagonista che serve per reggere uno
scontro più frontale con lo Stato. Rappresentando passo per passo le
previsioni di trasformazione sociale che azzardiamo, alla facoltà di
opporre obiezione di coscienza attuale, crecheremo di far susseguire
un’obiezione fiscale che andrà a tagliare i ponti di denaro eretti tra
Istututi di ricerca e Istituzioni, per mezzo del prelievo fiscale,
comunale e nazionale, che coinvolge persone nominate cittadini, ma
assolutamente ignari e già pesantemente tassati.
Porre la
pseudo-democrazia di fronte all’ipocrisia della favoletta che cerca di
inculcare: le persone non rappresentano collettivamente lo Stato, che
invece le esclude sistematicamente dai processi decisionali e dà loro
solo l’illusione di coabitare tutti insieme sotto il tetto di un
castello di carte, chiamato civiltà.
Un’obiezione di scienza
allargata si affaccia già dal principio sulla via di una nuova
tipologia di contestatori, che racconteranno ancora gli insuccesi, i
drammi, i disastri e le corruzioni conseguenti le speculazioni della
cattiva scienza, ma sapranno distinuguere gli argomenti indiretti,
secondari, da quelli veri, principali: quelli che rendono l’azione
politica antispecista  essenzialmente un’azione di svelamento della
dimensione etica grazie a un’idea radicale nella sua essenza, più che
nei metodi della ‘forza della ragione’ in cui si rispecchia ora. 
Se
possa esistere poi una scienza di liberazione o nessuna scienza, per
come questo termine comunamente è inteso, è ancora compito dei
movimenti, della gente comune e dei pensatori critici; se sarà una
ricerca pubblica o una società che ripudia la sua tecnologia, la
principale avversaria delle multinazionali del farmaco, senza scrupoli
e senza alcun controllo, lo dirà il futuro.
Certamente noi
decidiamo di partire da noi, senza perdere di vista gli obiettivi,
ponendoci in stretta relazione a ciò che, avendo bisogno di
sottometterci, ci inganna, ci truffa, ci spegne e uniforma. La tortura
e le prevaricazioni sappiamo per quanto lo sentiamo che sono ingiuste e
strumentali al potere.
Un ‘basta vivisezione’ che assume il valore
di un monìto di solidarietà, ugualianza, isitinto animale ed empatia
unificatrice, affinchè i Ruesh, i Berrry Horne e tutti gli attivisti
per la liberazione vivano la loro natura comune.

Non una
battaglia per un diritto (la trasparenza degli Istituti di ricerca,
l’obiezione di coscienza, l’obiezione fiscale e la fine della terribile
pratica che è la vivisezione una volta indebolita dal distacco
dall’opinione pubblica).

Nemmeno una battaglia per i semplici
diritti, perchè ciò implica che sarebbero ancora gli umani a elargirli
dall’alto della loro falsa superiorità di specie.

Una lotta di
liberazione, che inevitabilemente passa dal conseguire diritti su
diritti in un’epoca come l’attuale di pesante debolezza sovversiva, ma
che si adopera nel  piano di intervento politico-sociale che le spetta,
conscia che non si tratta di fare alla rinfusa passi in avanti che ne
comportano ottimisticamente altri in avanti ancora: si tratta di
direzioni, di un nuovo realismo.

Si tratta di accelerare
il corso della storia volgendola ad un’antispecismo inteso come più
ampio grado di solidarietà e consapevolezza e sensibilità. Fare qualche
passo avanti e qualche passo indietro nell’incomprensione generale del
contesto, finisce sempre per farci sentire disorienatati e ci fa
credere che nemmeno fra noi ci possiamo capire, infine che la società
libera che desideriamo sia utopica, irreale.
Per attuare progetti
importanti abbiamo bisogno di un movimento antispecista non uniforme ma
nemmeno amorfo; dobbiamo costruire un movimento vitale, attento,
passionale come e più di ora, ma più analitico, armoniso e compatto.
Abbiamo
bisogno di passare dal conoscere le differenze per andare alla ricerca
della nostra radice comune. Abbiamo bisogno, noi crediamo, di passare
da un movimento etico-scientifico ed etico-moralistico, ad un movimento
etico-politico e da lì ripartire.
Il potere si affida all’ideologia
del progresso e si snoda sul piano scientifco-tecnologico, adotta
l’economia per promuovere le sue spaventose tesi di benessere e
giustizia sociale, vende la sua immagine per procacciarsi maggiore e
indispensabile assenso delle masse e produce una mentalità
consumistica, guerrafondaia e specista.
Gli ambìti antagonsiti
rispondano svelando le implicazioni del mega-sviluppo tecnico, lo
contrastino sul piano del profitto, mettano in luce le sue ipocrisie e
spostino l’ago della bilancia coinvolgendo la società in un’opposizione
completa, in grado di farsi portatrice di una trasformazione
politico-culturale che agevoli l’emergere di un mondo nuovo, libero.

 

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